Il prossimo numero

Diceva Gilles Deleuze che è necessario pensare prima il mondo e poi discendere verso dimensioni spaziali via via più ristrette, fino ad arrivare al “locale”. Ci sembra una buona indicazione rispetto alle sfide di fronte a cui ci troviamo nel presente: assumere il mondo come condizione dell’azione politica significa farsi carico dei processi globali che limitano e determinano lo sviluppo negli spazi dei territori che abitiamo ogni giorno senza abbandonare (al contrario, riqualificando) il necessario radicamento delle iniziative e delle mobilitazioni sociali. Non solo: significa anche aprirsi al riconoscimento della molteplicità delle lotte che si determinano quotidianamente nel mondo, apprezzarne l’eterogeneità e farle risuonare traducendole in contesti diversi. In una battuta, questo lavoro di traduzione è la condizione preliminare per la costruzione di un internazionalismo che vada oltre la pur necessaria e doverosa solidarietà.
Il prossimo numero di Teiko affronterà questo insieme di questioni, proponendo un’inchiesta sul modo in cui, in diverse parti del mondo, soggetti politici e sociali che sentiamo prossimi reagiscono alle tumultuose trasformazioni che – nell’attuale congiuntura di guerra – stanno ridisegnando il quadro politico ed economico a livello mondiale. Senza alcuna pretesa di esaustività, ovviamente, cercheremo di contribuire a un allargamento dei nostri orizzonti di pensiero e di azione – nella prospettiva indicata di un nuovo internazionalismo.
Una cosa va detta preliminarmente. Stiamo lavorando con l’ipotesi che la congiuntura attuale sia caratterizzata dalla crisi dell’egemonia globale degli Stati Uniti. Questa crisi, tuttavia, ha caratteri di inedita radicalità, considerato che corrisponde più in generale alla crisi di quella che abbiamo chiamato la “metaegemonia” dell’Europa e dell’Occidente all’interno del moderno sistema mondo capitalistico. La centralità economica e geopolitica assunta nell’ultimo decennio da quella parte del globo che si estende dall’Eurasia fino alla Cina si sta configurando sempre di più come una sfida davvero inedita sia al capitalismo occidentale che alla sua nazione guida, gli Stati Uniti. Ci pare importante sottolineare che siamo di fronte a una sfida che non trova paragoni nella storia: è la prima volta in cinquecento anni, e cioè dal ciclo di accumulazione iniziato con la conquista dell’America in poi, che la supremazia occidentale viene seriamente messa in discussione. La congiuntura di guerra è anche un sintomo di questo mutamento epocale.
